Scripta manent…


Avendo scelto una professione non proprio “sicura”, ho sempre creduto che per il musicista fosse sempre meglio avere un “Piano B”.

Ora, alcuni illustri colleghi hanno pensato che, essendo già il Piano A qualcosa di incerto  ed utopistico, il Piano B dovesse avere ben altra consistenza ed esplorare realtà più tangibili, perciò nella scelta universitaria (per chi si è laureato) si sono orientati su facoltà tipo Ingegneria, Medicina, Giurisprudenza…
Io no. Coerente fino in fondo ai miei sani principi autolesionisti, ho scelto Musicologia. Sì, avete capito bene: Musicologia.  Della serie: non sia mai che un giorno o l’altro mi tocchi davvero lavorare!
La maggior parte delle persone di fronte a questa notizia mi guardano con un’espressione che è un miscuglio di compassione e derisione, del tipo “Si vede che non hai proprio bisogno di lavorare”, manco fossi figlia di Donald Trump. Invece la mia è stata una scelta ispirata, quasi un azzardo, come se alla roulette avessi puntato tutto sul 9 rosso. Troppo facile percorrere due strade parallele e alla fine risultare mediocre in entrambe, meglio il rischio. O la va o la spacca.
A questo punto della mia carriera, non so se sia stata una scelta proprio azzeccata, ma non me ne pento, per un solo semplice motivo: che altro avrei potuto fare? Voglio dire, odio gli avvocati, alla vista di una goccia di sangue svengo e i numeri non sono proprio la mia passione (e smettiamola con questa storia che la musica e la matematica sono affini!). Penso che se avessi scelto una facoltà “seria” a quest’ora sarei ancora al primo esame…

Per cui eccomi qui.

Non è detto però che per una laurea come la mia non ci siano mestieri correlati. Infatti ho lavorato per due anni in una fonoteca (parola che genera la stessa espressione compassionevole sopra citata), ossia una specie di biblioteca in cui vengono custoditi materiali musicali. Quando lo spiego uso spesso termini forbiti e mi fingo custode di rarissimi documenti che solo esperti del settore saprebbero decifrare. In realtà ho recentemente conosciuto una ragazza che fa più o meno lo stesso lavoro e non sa leggere una nota. Ma ai miei interlocutori non è necessario che lo dica, no? Comunque lo so, non è che il mondo necessiti urgentemente di fonoteche e musicologi, ma, voglio dire, conosco un ragazzo che vive studiando insetti e credo che la sua utilità per il progresso del genere umano sia pari alla mia quando estraggo un disco in vinile e ne trascrivo i dati su un catalogo che, probabilmente, mai nessuno consulterà…

Tuttavia recentemente ho scoperto che esiste un altro lavoro per cui è addirittura indispensabile la mia laurea. Con la recente istituzione dei licei musicali servono infatti insegnanti di Storia della Musica.
Ho fatto la domanda, sono entrata in graduatoria. Terza per la precisione. Il primo ha rifiutato, i secondo no. Cosa avevano i primi due più di me? Libri.
Un amico e collega mi ha detto che per acquisire punteggio in queste graduatorie servono pubblicazioni di libri ad argomento musicale. Io all’attivo non ho altro che un libro sui Queen pubblicato quando avevo 23 anni (e che, erroneamente, pensavo mi avesse fatta diventare una nuova scoperta del mondo editoriale). Stop. Se essere fan di Freddie Mercury mi avesse davvero aiutata nel mondo del lavoro più della laurea, avrebbe avuto un che di paradossale, il che trattandosi di me non mi avrebbe affatto stupito.

Quando l’ho comunicato a mia mamma, lei ha sentenziato “Beh, che problema c’è? Scrivi un libro!”. L’ha detto così, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
Intendiamoci, io amo scrivere e adoro i libri, ma trovare l’ispirazione non è cosa da poco. Poi per me il difficile è farsi venire un’idea seria, ho solo in mente romanzi surreali o saggi psico-filosofici, completamente inutili allo scopo. Cercate di capirmi però, mi ci vedreste a scrivere un tomo sul leit-motiv wagneriano o qualcosa dal titolo antisonante tipo “L’iconografia musicale nei dipinti trecenteschi dell’alta Baviera”?. Mhm.

Però, oggi mi sono concessa una passeggiata di un’ora nella neve per raggiungere un negozio di libri usati (il che, a mio avviso, in termini di dipendenza è l’equivalente letterario del fumatore che esce alle 3 di notte per comprare le sigarette) e ciò deve avermi giovato perché ho partorito non una, ma ben due idee che potrebbero avere un senso.

Che io diventi la Sophie Kinsella della saggistica musicale?

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