School is over!

School is over… cantava qualcuno…

Ed in effetti con i saggi delle mie alunne di ieri si è conclusa per me l’esperienza scolastica di quest’anno.
Esperienza doppia, elementari-medie.

Per una musicista l’esperienza didattica può essere fonte di grandi soddisfazioni, ma anche una tortura senza pari… Un conto è saper suonare uno strumento ed un conto è saperlo insegnare a ragazzi che il più delle volte vengono costretti a studiare musica dai genitori (e che non fanno minimamente mistero del proprio disinteresse a riguardo…)

La prima volta che misi piede in una scuola fu molti anni fa (penso circa 7), per un progetto legato al Conservatorio. Avrei dovuto tenere una lezione su Mozart a ben 3 classi di una scuola-trincea di un quartiere abbastanza problematico di Genova.
Figli di delinquenti, spacciatori ed altri ameni personaggi, avrebbero dovuto essere affascinati e rapiti da una mia ben preparata dissertazione sulla modernità della musica di Mozart, con accenni all’utilizzo delle sue composizioni per pubblicità, film e persino (che trovata!) per le suonerie dei cellulari.
Venni derisa. Le insegnanti chiamarono il Preside. Derisero pure lui.

A questo punto una delle professoresse attaccò il classico discorso patetico del tipo “Non capite che fortuna sia avere la possibilità di assistere ad una lezione così bella, un domani ci ripenserete e vi dispiacerà di aver sprecato quest’occasione”, a cui rispose un alunno dalle retrovie “Cosa vuole prof, è un mondo difficile!”. Per poi concludere “Oh raga, stasera tutti da me a sentire Mozart!”.
Beh, almeno aveva capito di chi stessi parlando.

Uscii in lacrime giurando a me stessa che non avrei più messo piede in una classe.

Ed invece sono diversi anni che, in maniera più o meno discontinua, lavoro a scuola ed ho avuto modo di constatare che anche i ragazzi dei quartieri “bene” non sono altro che ragazzi delle scuole-trincea, solo vestiti un po’ meglio e un po’ meno sfacciati (ma neanche tanto meno). La svogliatezza è la stessa, il disinteresse è palpabile.

C’è poi molta differenza fra l’insegnare educazione musicale o il violoncello. Il rapporto 1-1 permette certamente una migliore gestione delle situazioni, mentre l’intera classe può causare crisi di panico non da poco!

Nell’insegnare strumento c’è poi una sorta di identificazione e l’insegnante, persino il più crudele, non può fare a meno di ripensare ai propri esordi, alle difficoltà riscontrate, pur non resistendo alla tentazione di “vendicarsi” dei propri traumi torturando gli alunni con dolorosissimi esercizi per la postura, noiosissimi studi e via dicendo…
I ragazzi, d’altro canto, non studiano, non studiano, non studiano…
E alla domanda tipica “Ma non hai paura di fare una figuraccia al saggio?” non si fanno problemi a rispondere “No, noi non abbiamo nè dignità nè orgoglio!”. Bene.

Le lezioni somigliano in modo preoccupante a questa mitica scena di Woody Allen:

Non solo, ma deliziano l’insegnante con affermazioni sconcertanti che danno origine a dialoghi al limite del surreale:

“Che nota è quella?”
Risposta: “Quella.”

“Non è lungo da imparare, son solo 3 righe!”
Risposta: “Ma le note sono scritte piccole!”

“Perchè continui a fare fa # anzichè naturale?”
Risposta: “Perchè nei pezzi dell’anno scorso c’era sempre fa #!”

nonchè assiomi disarmanti del tipo:

“Ero convinta di aver messo le dita…invece no!”

“Devo fare poco sol?” (per dire un sol di un ottavo)

Ma le gioie più grandi le danno sempre i bimbi delle elementari.
Nell’ultima lezione di quest’anno ho chiesto di disegnare 4 strumenti, con relativo nome accanto, fra quelli che più sono piaciuti.
Una bimba di I scrive:

BENGIO
CHITARA
FRAUTO
CLARIMENTO

mentre un’altra dichiara seccamente: “Non me n’è piaciuto nessuno.”

Sono soddisfazioni…

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  1. Gemma | Rispondi

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