I concerti all’aperto…Si salvi chi può!
Cosa c’è di più bello di un concerto a diretto contatto con la natura? Due ore di musica in completo relax, mollemente abbandonati su comode sedie poste in riva ad un lago, o in una piazzetta d’epoca o in un parco?
Apparentemente niente. Ma lo spettatore non sa che questo genere di concerti siano il peggio che possa capitare ad un musicista, un agglomerato di contro capaci di sotterrare tutti i pro di cui gode lo spettatore.
E’ in queste occasioni che il concerto si trasforma per il musicista in un safari, in cui combattere con zanzare ed insetti di ogni tipo che si annidano sul corpo, sullo strumento e sullo spartito impedendoti di leggere correttamente le note, il che dà spesso origine a dissonanze al limite dell’avanguardia musicale più spinta.
Per non parlare del vento, vero nemico dei concerti all’aperto, a causa del quale tenere ferme le pagine dello spartito diventa utopia. Giuro di aver visto con i miei occhi un violinista di un quartetto perdere lo spartito dal leggio e continuare a suonare inseguendolo con gli occhi per terra…
Il vento diventa spesso motivo di gags ed ilarità, come durante un concerto di musiche da film in cui una violenta folata causò uno smottamento di custodie di strumenti alle nostre spalle con inevitabile fracasso generale. Stavamo suonando “Via col Vento”. Non sto scherzando.
Per superare le avversità in queste circostanze bisogna munirsi di “Kit del marchettaro”: Autan in grandi quantità, mollette per stendere per tenere fermo lo spartito, coprispalle pesante in caso di gelo, pinze, forcine e simili perché i capelli non svolazzino e, soprattutto, lo strumento peggiore che riuscite a trovare, di quelli che vendono da Ricordi a 49, 90 Euro.
Talvolta sono gli organizzatori del concerto a cercare di correrci in soccorso facendoci trovare già le mollette sui leggii o disseminando candele alla citronella sul palco, che più che a un concerto di musica classica sembra di stare all’MTV Unplugged dei Nirvana.
Sono comunque casi più unici che rari.