Musica e disabilità. Lavorare con i ragazzi del “Polo Gravi”
Sono due settimane che non scrivo sul blog.
Posso dire con discreta certezza che siano state due settimane di grandi cambiamenti, di scelte difficili e di sconvolgimenti vari.
Diciamolo, l’unico lato positivo della precarietà per un docente è quello di poter (o spesso “dover”) cambiare scuola, zona, modalità di lavoro ogni anno.
Magra consolazione.
Talvolta però questo ti mette nella condizione di poter tentare qualcosa di un po’ fuori dalla tua comfort-zone.
Così dopo notti insonni ed elucubrazioni mentali varie ho scelto di lanciarmi in un’avventura scolastica per me senza precedenti: accettare un incarico di sostegno al cosiddetto “polo gravi” dell’ I.C. San Francesco da Paola, uno dei pochi poli rimasti in Italia, perchè solo a Genova, ebbene sì, esistono realtà di questo tipo.
La domanda che tutti mi hanno fatto è stata: perché?
Devo essere sincera, sono sempre stata molto scettica circa questo tipo di struttura. Voglio dire, hanno abolito le cosiddette “scuole speciali” proprio al fine dell’inserimento e dell’integrazione in classe dei bambini disabili e portatori di handicap di varia entità, perchè creare ancora sezioni in cui raccoglierli tutti insieme?
Questa mia perplessità è stata da subito fugata dalla responsabile del Polo che mi ha spiegato che la scuola in questione lavora innanzitutto sull’integrazione ed i ragazzi hanno quotidianamente modo di interagire con compagni “normodotati” in attività sportive, musicali o didattiche all’interno della classe.
Occorre però considerare che i ragazzi, 12 in tutto, del polo hanno problematiche molto gravi per cui, in effetti, dedicare loro una “zona protetta” che li accolga come un campo base senza per questo precludere le attività con le classi è qualcosa di molto importante affinché possano usufruire di servizi medici, igienici e didattici specializzati.
Ma veniamo a me. Io non ho mai fatto attività di sostegno. Come dire, da zero a cento in un secondo netto.
Il mio primo giorno è stato duro. Io, che non ho mai avuto a che fare con la disabilità, mi sono ritrovata immersa in un mondo parallelo fatto di tanta sofferenza, ma anche di tanto amore e infinità umanità. Mi sono guardata intorno e mi sono chiesta come sia possibile ignorare l’esistenza di ragazzi così. Insomma, lo sappiamo che esiste la malattia e che tanti bambini ne sono affetti, ma poi nelle scuole se ne vedono davvero pochi. Come si può andare avanti continuando ad ignorare certe realtà?
La prima cosa a cui ti devi abituare è semplicemente “guardarli”. A volte non è facile, soprattutto la disabilità fisica grave, spesso abbinata ad una disabilità mentale, richiede un certo sforzo per evitare sguardi compassionevoli che poi ti fanno sentire stupida e quasi in colpa.
Una volta che ti abitui ai loro volti, alle loro smorfie, ai loro versi, impari a decifrarli ed inizi ad interagire. E qui si apre un mondo.
Impari che persone con la medesima disabilità o malattia sono molto diverse fra loro, impari che si può comunicare molto bene anche senza le parole ed inizia costruirti un modo tutto tuo per entrare in sintonia con loro.
Nel mio caso, la musica è corsa in mio aiuto.
Uno dei primi giorni ero con una ragazzina affetta da sindrome di Angelman, una rara malattia genetica che causa un grave ritardo mentale, difficoltà o assenza di linguaggio, anomalie fisiche ed altro. Avevo una chitarra ed iniziai a canticchiare Jingle Bells. Credo di non aver mai visto tanta felicità come quella che sprigionavano i suoi occhi.
Allora ho capito che ce l’avrei potuta fare, in qualche modo.
Questa è la mia terza settimana al Polo e sono carica di progetti musicali a cui dedicarmi nei prossimi mesi, anche grazie all’aiuto di un team di colleghi straordinari, la maggior parte dei quali hanno rinunciato ad insegnare la propria materia proprio per dedicarsi ai disabili. Colleghi forti e collaborativi con cui avrò la fortuna di lavorare fino a giugno.
Dunque per rispondere alla domanda: perché?
Ho scelto il Polo per mettermi alla prova, per non far finta che certe realtà non esistano e perchè sono convinta che una buona insegnante debba sapersi mettere al servizio di tutti, non solo di ragazzi intelligenti, sani, educati e “normali”. Perché se avessi un figlio al Polo vorrei saperlo in mani piene di entusiasmo e di insegnanti che credano in lui. Perché credo che la musica, più della parola, possa superare le barriere del linguaggio ed essere un ponte straordinario.
E perché credo che, questi 12 ragazzi, in questi nove mesi mi insegneranno molto più di quanto io possa trasmettere loro.